Per protrusione discale si intende una deformazione della parte più esterna di un disco intervertebrale, che risulta:
- compresso;
- fuori asse,
rispetto a quelli immediatamente sopra e sotto, causata da una compressione generalmente secondaria all’avanzare dell’età.
La protrusione discale

La protrusione discale (o bulging discale) è la fase immediatamente precedente alla rottura del disco vertebrale con fuoriuscita del suo contenuto, condizione nota come ernia del disco.
È generalmente conseguenza dell’invecchiamento, in quanto si verifica una progressiva disidratazione dei dischi intervertebrali con conseguente indebolimento della loro struttura e successiva compressione.
Localizzazione
La protrusione discale interessa i dischi intervertebrali della colonna; è comunque più probabile che venga diagnosticata:
- l4-l5;
- l5-s1;
- c5-c6 (detta anche protrusione cervicale);
- mediana;
- ad ampio raggio (ovvero con spostamento del disco importante);
- con impegno foraminale bilaterale, sinistro o destro (il disco sporge dove passa la radice).
Le cause della protrusione discale
La protrusione discale è generalmente conseguenza dell’invecchiamento: i dischi intervertebrali, infatti, tendono a disidratarsi con il tempo e diventano più fragili, risultando maggiormente soggetti a deformazione e rottura.
I fattori di rischio di una protrusione discale
Oltre all’invecchiamento che risulta essere la causa principale, si possono annoverare altri fattori di rischio, quali:
- abitudini posturali scorrette;
- il fumo;
- l’obesità;
- la sedentarietà;
- l’attività fisica eccessiva, soprattutto se particolarmente stressante per la colonna vertebrale;
- traumi violenti;
- l’indebolimento delle strutture muscolari a supporto del rachide.
I sintomi di una protrusione discale

I sintomi riscontrati in caso di protrusione discale sono:
- dolore riferito a livello della vertebra interessata;
- formicolio e intorpidimento degli arti superiori (protrusione cervicale) o inferiori (protrusione lombare o posteriore);
- debolezza muscolare.
Il dolore viene avvertito maggiormente stando seduti o mantenendo la stazione eretta; tende, invece, a svanire sdraiandosi e con il riposo.
La diagnosi

La protrusione discale viene identificata generalmente attraverso l’analisi dei reperti radiologici, successiva all’esame obiettivo e all’anamnesi del paziente da parte dello specialista.
È molto importante verificare la presenza di un’impronta sul sacco durale, l’ultimo strato meningeo che protegge il midollo e le radici spinali: la protrusione, infatti, può comprimere lo spazio naturalmente dedicato a quest’ultimo e può suggerire la direzione terapeutica da intraprendere.
Le cure della protrusione discale
La protrusione discale viene generalmente trattata quando risulta essere sintomatica: in alcuni casi, infatti, questa può essere presente ma non creare difficoltà al paziente.
Le soluzioni, dunque, mirano all’eliminazione della sintomatologia, e vedono in un primo momento dei trattamenti conservativi, generalmente risolutivi, con:
- farmaci;
- esercizi posturali;
- manipolazioni chiropratiche;
- fisioterapia.
L’intervento chirurgico viene preso in considerazione quando la protrusione degenera in ernia del disco grave, che mostra una sintomatologia costante e ingravescente per almeno 6 settimane.
Trattamenti conservativi

Il primo passaggio terapeutico nel trattamento delle protrusioni discali, prevede l’eliminazione della fase acuta del dolore, con:
- l’astensione dai movimenti che causano la sintomatologia;
- l’assunzione di farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS).
Una volta superata questa fase, è molto importante rinforzare le strutture muscolari a supporto della colonna vertebrale con esercizi per:
- controllare maggiormente il dolore ed evitarne l’insorgenza;
- aumentare la flessibilità del tronco e della colonna.
Nella maggior parte dei casi, i trattamenti conservativi riescono a stabilizzare la condizione e restituire la quotidianità al paziente: l’intervento chirurgico, infatti, è destinato ad un numero esiguo di soggetti, che presentano una sintomatologia particolarmente grave.
Intervento chirurgico
L’intervento chirurgico per la protrusione discale è previsto solo nei casi in cui:
- la condizione degeneri in ernia del disco;
- la sintomatologia sia persistente per almeno 6 settimane;
- l’anomalia non è responsiva alle terapie conservative;
- si manifestino deficit neurologici.
Il trattamento chirurgico d’elezione è la microdiscectomia, ovvero la rimozione del disco intervertebrale danneggiato con o senza la sua sostituzione.
Nei casi più gravi, in cui si sospetta una instabilità della colonna a seguito dell’intervento, si può far ricorso alla fusione spinale.
Entrambi gli interventi possono essere effettuati con tecnica mini-invasiva: per quanto siano sicuramente migliorate le tecniche, il ruolo del paziente nel post-operatorio è ancora parte fondamentale del processo di guarigione, per cui sarà necessario seguire un programma di fisioterapia per evitare complicanze nella fase finale di guarigione.
Microdiscectomia

Generalmente la microdiscectomia si effettuata in anestesia generale; tuttavia, grazie a tecniche innovative e meno invasive, può essere effettuata in anestesia loco-regionale.
L’obiettivo primario dell’intervento è la liberazione delle radici spinali compresse, causa del dolore e dei deficit neurologici.
La prima parte dell’intervento prevede la creazione dell’accesso con un’incisione non superiore ai 3 cm: viene, dunque, inserito il microscopio per poter identificare con precisione il quantitativo osseo da eliminare, e gli strumenti chirurgici, per la rimozione del nucleo polposo estruso dal disco intervertebrale.
Il grande vantaggio di questa tecnica risiede nella minor aggressività nei confronti delle strutture paraspinali, consentendo un recupero post-operatorio più rapido e meno doloroso.
Fusione spinale

La fusione vertebrale ha l’obiettivo di stabilizzare la colonna vertebrale grazie all’applicazione di barre e viti percutanee tra i quali si posizionano dei frammenti di osso.
Questi vengono generalmente prelevati dalla cresta iliaca del paziente (autotrapianto) o da donatore (allotrapianto): per evitare la doppia incisione, in questi ultimi anni, sono stati sviluppati dei materiali artificiali biocompatibili, dalle caratteristiche simili all’osso umano.
Una volta inseriti i frammenti di osso, si innescherà un processo di fusione delle vertebre, simile per caratteristiche alla guarigione a seguito di una frattura: le vertebre si salderanno tra loro, procedimento possibile grazie all’inserimento delle viti, che mantengono la colonna in posizione.